CEDOLARE SECCA: Quando il conduttore non è una persona fisica

CEDOLARE SECCA: Quando il conduttore non è una persona fisica

AUTORE: Avvocato Luca Capodiferro

Oramai da qualche anno si susseguono le sentenze delle Commissioni Tributarie che, dando
ragione al contribuente-locatore, censurano costantemente l’operato dell’Agenzia delle
Entrate in tema di applicabilità o meno del regime opzionale della cedolare secca nei casi in
cui il conduttore sia una persona giuridica che affitti, però, l’immobile per finalità abitative.
Operato che, in modo del tutto unilaterale, ha inteso realizzare un’equiparazione giuridica e
fiscale, tra locatore e conduttore, del tutto illegittima in quanto non prevista dal legislatore.
L’Agenzia delle Entrate, infatti, basandosi pressoché esclusivamente su due circolari
interpretative, la 26/E/2011 e la successiva 50/E/2019, ha iniziato ad effettuare i controlli
sulla regolarità dei contratti di locazione sottoposti al regime della cedolare secca, emettendo
avvisi di liquidazione nei confronti dei locatori per omesso versamento dell’imposta di
registro ogni volta che il conduttore sia una persona giuridica e ciò a prescindere dall’effettiva
destinazione d’uso dell’immobile locato (se, cioè, sia destinato ad abitazione o esercizio di
attività commerciale o professionale). E poco importa, per l’Agenzia, che il locatore sia una
persona fisica che rispetta tutti i parametri previsti dalla legge.
Per capire perché il comportamento dell’Agenzia è illegittimo sotto il profilo fiscale, occorre
partire dal dettato della legge introduttiva del regime della cedolare secca e dalle due circolari
interpretative richiamate sopra.
Tutto origina dalle “Disposizioni in materia di Federalismo Fiscale Municipale” e,
precisamente, dall’art. 3 del D.Lgs. 14/03/2011 n° 23 che, a partire dal 2011, ha introdotto
nell’ordinamento fiscale un nuovo regime “facoltativo” di tassazione dei redditi derivanti
dalla locazione di immobili a destinazione abitativa e delle relative pertinenze. Si tratta, quindi
di un regime opzionale riservato solo alle persone fisiche che siano titolari del diritto di
proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili a destinazione residenziale, a
condizione che i soggetti (locatori) non agiscano nell’esercizio di un’attività d’impresa o di
arti e professioni.
Si tratta, in sostanza, di un sistema di tassazione facoltativo ed alternativo a quello ordinario
la cui scelta esclude l’applicazione delle seguenti imposte:

• IRPEF, che andrebbe applicata in base alle aliquote progressive suddivise per
scaglione di reddito (con relative addizionali);
• REGISTRO: che sarebbe dovuta sul contratto di locazione, di norma pari al 2% del
canone pattuito in contratto;
• BOLLO: pari ad euro 16 e che dovrebbe essere apposto ogni quattro pagine di
contratto

Tutte queste imposte, incluse il registro ed il bollo sulle risoluzioni o sulle proroghe del
contratto, sono sostituite dalla cedolare secca.
La Circolare 26/E/2011 – nel valutare l’ambito applicativo della norma in esame – parla di
una “riserva” a favore delle persone fisiche e ciò perché dall’assoggettamento del reddito
derivante dalla locazione alla cedolare secca deriva l’obbligo, per il locatore, di considerare
detto reddito anche ai fini della determinazione dell’imposta personale, sia in termini di
riconoscimento dell’applicabilità o meno di possibili deduzioni e detrazioni fiscali, che di altri
benefici, non necessariamente di natura tributaria. Per questo la cedolare secca è “preclusa”
alle persone giuridiche, pur se concedano in affitto un immobile ad uso residenziale.
La Circolare specifica, poi, quali siano gli immobili oggetto del regime facoltativo. L’art. 3
del D.Lgs. 23/2011 parla genericamente di “immobili abitativi” e, da ciò ne deriva, per
l’Agenzia delle Entrate, che il regime facoltativo e sostitutivo sia applicabile esclusivamente
ai contratti di locazione aventi ad oggetto immobili censiti (o in corso di accatastamento) nel
catasto fabbricati alla categoria “A” (fatta eccezione per gli A10 – cioè uffici e studi privati).
Prevale, quindi, l’accatastamento rispetto all’effettiva destinazione d’uso voluta dalle parti
firmatarie del contratto.
E fin qui nulla da eccepire.
La Circolare a questo punto entra in un ambito delicato, con lo scopo, forse, di interpretare
un punto controverso o ritenuto tale, ma nei fatti andando a “sostituirsi” al legislatore nel
precludere alle parti del contratto quanto, invece, il legislatore non ha nemmeno preso in
considerazione.
L’Agenzia delle Entrate, infatti, ritiene che esulino dall’ambito di applicazione del regime
della cedolare secca i contratti di locazione conclusi con conduttori che agiscano
nell’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo, questo a prescindere ed
indipendentemente dall’effettivo utilizzo dell’immobile per finalità abitative di dipendenti e
collaboratori (i c.d. usi foresteria).
Quindi, secondo questa “lettura restrittiva” effettuata dall’Agenzia delle Entrate, il locatore
deve sempre essere persona fisica che opera al di fuori dell’attività d’impresa (ed è quello che

dice la legge), l’oggetto contrattuale deve sempre essere un immobile ad uso residenziale
(cioè in categoria A) ed anche il conduttore deve sempre essere soggetto che non agisce
nell’esercizio di imprese, arti o professioni. Cosa che il legislatore non ha mai detto.
Questa tesi viene ripresa nella successiva Circolare, la 50/E/2019, che riguardava
l’applicazione della cedolare secca anche alle locazioni di immobili ad uso commerciale,
quelli classificati, cioè, in categoria C1, di superficie fino a 600 metri quadrati, poi cancellata
nella manovra di fine 2019 dal Governo Conte bis.
La nuova Circolare ribadisce l’opinione dell’Agenzia delle Entrate la quale, richiamando
espressamente la 26, sostiene che sia necessario porre rilievo anche all’attività del conduttore,
ribadendo l’esclusione della cedolare secca se questi esercita attività d’impresa, pur
destinando l’immobile a residenza. Cosa, come detto, mai sostenuta dal legislatore.
Ma che valore hanno in concreto queste circolari?
Di base altro non sono che “atti amministrativi a valenza interna”, funzionali quindi
all’attività interna alla Pubblica Amministrazione che, come tali, non sono vincolanti né per
il contribuente né per il giudice e non costituiscono, in nessun caso, fonte del diritto. Questo
perché, come più volte ribadito dalla Cassazione, l’Amministrazione finanziaria (nel nostro
caso) non ha poteri discrezionali nella determinazione o meno delle imposte dovute (così
come nella determinazione dell’applicabilità o meno di un determinato regime fiscale).
Costituiscono, al più, l’esternazione di un pensiero, un’interpretazione, un punto di vista,
spesso operativo, dell’Amministrazione. Nella prassi questi atti servono spesso a “dettare”
agli Uffici subordinati i criteri di comportamento nella gestione operativa e/o nella concreta
applicazione di norme di legge, ma non possono imporre ai contribuenti nessun
adempimento non previsto dalla legge né, soprattutto, attribuire all’inadempimento del
contribuente alle prescrizioni di detti atti un effetto non previsto da una norma di legge.
Ed infatti sono atti non impugnabili in sede contenziosa, in quanto appunto esprimenti un
parere che, come tale, è appunto non vincolante. Da ciò deriva che non possono contenere
disposizioni derogative di norme di legge, né essere considerate alla stregua di norme
regolamentari vere e proprie, che, come tali vincolano tutti i soggetti dell’ordinamento,
essendo dotate di efficacia esclusivamente interna all’ambito dell’amministrazione dalla
quale sono emesse.
In parole semplici le Circolari altro non sono che “istruzioni ad uso interno” che, in molti casi,
sono utili anche per il contribuente che sceglie, spontaneamente, di applicarne consigli e
suggerimenti operativi.
Linee guida, nulla di più!

E, invece, l’Agenzia delle Entrate continua ad operare come se la Circolare 26/E/2011 fosse
a tutti gli effetti una legge dello Stato. Con ciò violando anche i principi generali statuiti dalla
legge 27/07/2000 n° 212 (Statuto dei diritti del contribuente).
Si tratta, quindi, di un’azione illegittima dalla quale consegue l’emanazione di atti nulli perché
in contrasto con la legge. Sul punto ormai costante è la posizione delle Commissioni
Tributarie.
Se si analizzano alcune fra le principali sentenze delle Commissioni (fra le quali: CT
Provinciale Milano17/04/2015 n. 3529 – CT Regionale Lombardia, Sez. 19, 27/02/2017 n.
754 – CT Provinciale Pavia 07/06/2018 n. 222 – CT Provinciale Bari 05/04/2019 n. 825) si
può notare come l’orientamento sia ormai univoco nel ritenere illegittimo l’operato
dell’Agenzia delle Entrate.
Interessante, per tutte, la decisione della Commissione Regionale Lombarda del 2017 che ha
stabilito che: “Il locatore di immobili ad uso abitativo – se persona fisica che non agisce
nell’esercizio di impresa, arte o professione, ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 23/2011 – può optare
per il regime fiscale agevolato della cosiddetta “cedolare secca”, a prescindere dal fatto che
il conduttore sia persona fisica o società, nulla prescrivendo la citata norma sulla natura
giuridica di quest’ultimo”.
Tale decisione ha confermato quella di Primo grado, nella quale la Commissione Provinciale
milanese aveva accolto il ricorso della locatrice proprietaria dell’immobile ritenendo che, in
quanto persona fisica, titolare del diritto di proprietà sull’immobile concesso in locazione,
aveva legittimamente optato per il sistema della cedolare secca per la tassazione dei canoni
derivanti da tale contratto di locazione. Questo perché l’oggetto del contratto era un’unità
immobiliare destinata ad uso abitativo, anche se il conduttore era rappresentato da una società
che lo usava, però, per finalità residenziali e non commerciali.
La Commissione Regionale ha così ribadito che ai sensi dell’art. 3 del DLgs. 23, in via
alternativa e facoltativa rispetto al regime ordinario vigente per la tassazione del reddito
fondiario ai fini IRPEF, il proprietario o il titolare di diritto reale di godimento di unità
immobiliari abitative locate ad uso abitativo, che non agisca nell’esercizio d’impresa o di
lavoro autonomo, può optare per il regime della cosiddetta “cedolare secca”, che prevede
sostanzialmente un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali, nonché delle
imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione, con aliquota del 21% o del 15% a
seconda del tipo di contratto. Per quanto concerne il profilo del locatario, la norma non
impone alcun vincolo particolare ai fini dell’accesso al regime agevolato.

E se la legge nulla prevede, per casi simili, in capo al conduttore, significa che questo tipo di
opzione era ed è perfettamente legittima ed ammissibile, non potendo una circolare
amministrativa integrare o modificare una norma di legge (addirittura in molti casi con effetto
retroattivo), tanto più se, come nel caso delle leggi tributarie, vige una riserva di legge –
inserita nella Costituzione – che prevede che la disciplina di determinate materie sia regolata
soltanto da fonti di legge primaria (leggi dello Stato) e non da fonti di tipo secondario, a
maggior ragione quando non sono nemmeno fonti, ma semplici atti amministrativi ad
indirizzo interno.
Quindi, in conclusione, l’operato dell’Agenzia è da censurare, come bene fanno le
Commissioni Tributarie, in quanto trattasi di attività illegittima, che produce atti nulli perché
contrari a norme di legge, con l’unico rammarico della compensazione delle spese legali di
causa. I Giudici tributari, infatti, ritenendo “delicata” la questione, hanno quasi sempre
preferito non condannare l’Agenzia al pagamento delle spese di lite, così danneggiando due
volte il contribuente: la prima, perché ha dovuto subire l’attività illegittima dell’Agenzia, la
seconda perché per poter ottenere l’annullamento degli atti illegittimi, ha dovuto sopportare
tutte le spese di causa.
Anche questa decisione – quella sulle spese – non è propriamente in sintonia con lo spirito
dello Statuto dei diritti del contribuente.
Forse, da parte delle Commissioni Tributarie, ci vorrebbe maggior coraggio.

AUTORE: Avvocato Luca Capodiferro
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