Implica il risarcimento la condanna a rimuovere il balcone che viola la distanza minima fra edifici
Accertata la lesione del diritto di proprietà, il danno è in re ipsa e va liquidato in via equitativa: l’abusiva imposizione di una servitù si traduce in una diminuzione temporanea del valore del bene
In re ipsa. Non c’è bisogno di provare il danno risarcibile quando il giudice accerta che il vicino ha realizzato il balcone in violazione delle regole sulle distanze minime fra edifici: l’abusiva imposizione di una servitù, infatti, si traduce di per sé in una temporanea limitazione per il valore del cespite e deve dunque essere risarcita in via equitativa. È quanto emerge dalla sentenza 9654/16, pubblicata l’11 maggio dalla seconda sezione civile della Cassazione.
Accolto uno dei motivi del ricorso incidentale: sbagliano i giudici del merito a ordinare la sostituzione dei balconi con veduta con i meno invasivi modelli alla romana senza tuttavia procedere alla liquidazione equitativa ex articolo 1226 Cc sul mero rilievo che è stata provata la quantificazione del danno; ciò non significa, invero, che il pregiudizio lamentato non sussista: anzi, una volta che risulta accertata la violazione del diritto di proprietà, la condanna al ristoro deve essere ritenuta automatica.
E ciò perché caso di violazione delle norme sulle distanze minime tra fabbricati contenute nel codice civile e integrate dai regolamenti edilizi comunali alla parte lesa non spetta soltanto la tutela in forma specifica, vale a dire la condanna della controparte a ripristinare la situazione antecedente al verificarsi dell’illecito: si configura invero un danno-conseguenza certo e indiscutibile rappresentato dalla limitazione del diritto di godimento che scaturisce dalla servitù che il vicino ha imposto all’immobile aprendo la veduta contro legge; ecco perché non serve l’attività probatoria ad hoc.
Infine, nessun dubbio che la limitazione temporanea del diritto reale si presti alla liquidazione secondo equità al pari di ogni altra fattispecie del diritto civile, quando non è possibile quantificare diversamente il pregiudizio patito: la valutazione del giudice del merito in proposito, se ben motivata, non è sindacabile in sede di legittimità. Parola al giudice del rinvio.